Interista di Giovanni Mastria

LO SCHERMO 25 Maggio 2020

 “CI HANNO MANDATO A MANI NUDE A COMBATTERE UNA GUERRA"

La dura accusa del Presidente dell’Ordine dei medici

Anche nella nostra città il Covid-19 ha messo a dura prova il settore della Sanità pubblica. Tra ritardi della Regione, scarsità di risorse e problemi strutturali del nuovo ospedale, il periodo è stato difficile e problematico. Ne abbiamo parlato con il Dott. Umberto Quiriconi, Presidente dell’Ordine dei medici di Lucca e neurologo di lungo corso.

Come ha retto il Sistema Sanitario Nazionale all’emergenza Covid-19?

Quella che abbiamo affrontato e che stiamo affrontando è, sotto l’aspetto sanitario, una situazione nuova e non conosciuta. La stessa Cina ha comunicato con grave ritardo la presenza del virus e, per tali motivi, ovviamente all’inizio la risposta è stata un po’ balbettante. Diciamo che a livello nazionale le misure necessarie sono state adottate abbastanza per tempo ma, a mio avviso, sono state comunque tardive. Senz’altro ha influito anche il fatto che nel nostro Paese ogni Regione ha – in pratica – un sistema sanitario regionale a sé stante e, per questo, nei vari territori sono state adottate regole differenti per contenere il contagio. Tale disparità, per ciò che riguarda la diffusione dell’epidemia, non è stata proprio proficua! In definitiva direi che – a parte la grave fuga di provvedimenti prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con il contestuale e pericoloso esodo che tutti abbiamo visto – la risposta del Servizio Sanitario Nazionale, sebbene tardiva, è stata sufficiente in alcune Regioni, insufficiente in altre e complessivamente buona in altre ancora.

Si poteva fare di più?

Si, indubbiamente. Sarebbe stato opportuno chiudere prima gli ingressi al Paese e procedere con test sierologici e tamponi su larga scala come è stato fatto in Nuova Zelanda e in Corea del Sud, dove sono riusciti a contenere il contagio in un mese circa. Questo, a mio avviso, sarebbe stato il modus operandi corretto per arginare la diffusione del virus, oltre a tutte le misure di isolamento che sono state adottate.

Si parla, negli ultimi anni, di significativi e continui tagli alla sanità pubblica. È davvero questa la realtà? Lei, che ricopre incarichi istituzionali, quali soluzioni propone e cosa chiede alla politica?

Guardi io sono rimasto molto scosso a causa della morte di un collega di medicina generale, il Dott. Marco Lera, che ha pagato un tributo pesantissimo per lo svolgimento del proprio mestiere. Non le parlo, poi, dello stress e della grave condizione dei colleghi ospedalieri che lavorano in pronto soccorso, in rianimazione, in pneumologia, in malattie infettive e nelle medicine. Perché si è verificato tutto questo? Perché negli anni passati sono state fatte politiche incongrue sia per ciò che riguarda il finanziamento della sanità e sia per la formazione. In merito a tale ultimo aspetto, in particolare, basti pensare che di fatto c’è una pletora di colleghi che sono condannati all’inattività per l’esiguità delle borse di studio specialistiche. Noi lo diciamo da anni ma solo adesso, con la pandemia, si sono accorti che mancano i medici! Oltre a questo, l’altra cosa gravissima è la mancanza di posti letto dovuta ai continui tagli e alle presunte “razionalizzazioni”. E quindi, in definitiva, io chiedo semplicemente ascolto. In questo periodo, in TV, abbiamo visto una miriade di professoroni vari. Per carità, tutte persone di alto livello culturale, anche se dobbiamo dire che spesso sono caduti in contraddizione tra loro. Però è necessario che venga ascoltato anche e soprattutto chi lavora effettivamente sul campo: gli ospedalieri, i medici di famiglia ecc., che in questa fase avrebbero potuto offrire un contributo molto costruttivo per la predisposizione di un’assistenza efficace sul territorio, dove si gioca la prima carta per intercettare i bisogni di salute dei cittadini. Mi creda, se si ascolta il territorio tutto diventa più semplice. Pertanto, per concludere, queste sono le richieste che mi sento di fare al mondo politico: revisione del piano di formazione, predisposizione di un numero di posti letto congruo rispetto alle esigenze sanitarie della popolazione e un maggiore ascolto dei medici che lavorano sul territorio. Proprio su tale ultimo aspetto, in particolare, ritengo che sia necessario ripensare e riorganizzare il sistema di medicina generale sul territorio nella sua interezza.

La Regione Toscana invece, nell’ambito di sua competenza, come si è mossa e come si sta muovendo?

Ci sono stati dei ritardi, sebbene siano stati meno gravi rispetto a quelli di altre Regioni. Anche in questo caso, però, devo muovere un rimprovero e un’accusa alla Regione Toscana. Ci hanno mandato allo sbaraglio e di questo, finita l’emergenza, chiederò ragione e conto per il bilancio pesante di tutti quei colleghi deceduti e contagiati. La Regione, infatti, ci ha letteralmente mandato a mani nude a combattere questa guerra: i dispositivi di protezione individuale sono stati insufficienti e sono arrivati in ritardo. Lei pensi che, ad oggi, non sono ancora arrivati i soprascarpe. Alcuni servizi pubblici hanno addirittura chiesto all’Ordine dei medici di supplire a tale mancanza, e noi con grande sforzo abbiamo fornito dispositivi di protezione alle guardie mediche, al 118, al pronto soccorso, alla cardiologia e alla medicina generale. Tutto questo è stato possibile solo grazie al fondo che abbiamo stanziato, circa ventimila euro, e all’aiuto di tanti altri Enti come il Comune e la Protezione civile, oltre che grazie al supporto di tantissime associazioni del territorio. Tali attività, ovviamente, non rientrano nei compiti istituzionali dell’Ordine. Nonostante sia stato fatto con piacere e disponibilità, questo mette a nudo tutte le carenze della Regione in questa fase.

A Lucca, tra il San Luca e il vecchio Campo di Marte, qual è stata la situazione?

Quando fu avviata la costruzione del nuovo ospedale, la Regione ci disse che il San Luca avrebbe dovuto essere strutturato per intensità di cura e con facoltà di modulazione per quantità e destinazione di posti letto. In pratica, se c’è la necessità, si possono stornare ulteriori posti letto. E, in effetti, è un po’ quello che è accaduto in questo periodo, con le sale operatorie che sono state riconvertite in sale di rianimazione e i vari reparti che hanno accolto anche i malati di Covid-19 separando, in pratica, il percorso rispetto a quello dei pazienti non contagiati dal coronavirus. Però rimane il fatto – e noi lo abbiamo sempre sostenuto – che il San Luca è un ospedale piccolo, con un numero basso di posti letto e con un pronto soccorso di dimensioni ridotte. E, infatti, si è dovuto riaprire il Campo di Marte. È chiaro che si è trattato di una situazione emergenziale, per carità, ma un sistema sanitario moderno deve prevedere anche tali circostanze eccezionali. Quindi, in definitiva, dismettere il Campo di Marte è stato un errore grave. Questo anche perché molte strutture erano nuove, e infatti lì sono rimasti alcuni presidi importanti come il Centro antidiabetico e la medicina dello sport. Lo ribadiamo ancora una volta: il Campo di Marte deve, quantomeno, rimanere un polmone da destinare anche a situazioni di emergenza, e questo periodo lo dimostra in maniera chiara.